Un’insolita vendetta- Fuori dalla villa.

Lo aspettava da circa un’ora, ormai con un po’ di ansia addosso.

Tutta la decisione e la determinazione che aveva sentito nell’attimo stesso in cui si era disposto all’angolo della strada in cui sapeva che sarebbe passato alle dieci circa, sembrava sciogliersi nell’incertezza di aver sbagliato qualcosa, di aver calcolato male tempi e modi.

Erano giorni e giorni che progettava il tutto, l’aveva pedinato, fotografato, ascoltato parlare, insomma aveva seguito alla lettera tutto quello che aveva imparato da libri gialli e film d’azione. E si era ritenuto pronto. Tranne che ora il mondo pareva cascargli addosso. In fondo lui non era un professionista, non aveva la scorza dura e feroce che sarebbe stata necessaria allo scopo.

Quando aveva progettato il tutto, era mosso da un senso di giustizia, ora pareva fosse solo vendetta.

Si era stancato di essere preso in giro, di essere coglionato davanti a tutto il mondo, di offrire dialogo e di sentirsi rifiutato, di cercare di parlare e avere in cambio solo insulti. E allora aveva detto basta, si era ripetuto che quello che stava per fare era solo una conseguenza inevitabile, per sé e per gli altri.

Aveva procurato il necessario tramite un amico fidato, di quelli di vecchia data, del tipo che non ti lasciano mai soli nel momento del bisogno.

Gli aveva spiegato per filo e per segno le sue intenzioni, ne aveva studiato l’espressione perplessa, all’inizio, divertita e rabbiosa alla fine, aveva incassato il suo consenso e la sua solidarietà. E il suo aiuto.

I suoi pensieri vennero interrotti dall’apertura del cancello.

Il parco della villa offriva agli occhi esterni tutta la sua bellezza, fino a pochi secondi prima celata dal portone verde. Sullo sfondo del giardino si poteva ammirare la costruzione risalente al 1700, un paio di cani abbaiavano al passaggio dell’auto del proprietario, pronti a fermarsi all’ingresso, monito a chi volesse infilarsi di soppiatto.

 

PierLuigi si mosse d’istinto, senza più pensare a nulla. Si mise davanti all’auto che frenò di colpo.

Nei vetri affumicati si poteva scorgere lo sguardo sorpreso e attonito di Beppe, che, per una volta, era senza parole.

Si guardarono fissi negli occhi, per un attimo lunghissimo, entrambi con le labbra serrate.

Poi il finestrino si abbassò, la testa piena di capelli grigi si sporse fuori, le labbra si stavano per aprire nell’ennesimo sberleffo. Ma si gelarono alla vista di quello che stava per accadere.

Gianroberto era legato al cofano di una vecchia Punto, nudo come mamma l’aveva fatto, rapato a zero.

Pierluigi stava per schiacciare un pulsante di un telecomando che sembrava collegato a un pacco di grosse dimensioni, tutto faceva presagire lo scoppio di una bomba.

Il terrore calò negli occhi dei presenti, le guardie del corpo si erano immobilizzate, il ghigno di Pierluigi era agghiacciante.

Poi, successe.

Dalla scatola venne fuori una tv. Il telecomando azionato diede vita a un canale in cui un giovane comico faceva uno spettacolo in cui prendeva per il culo i socialisti.

Per alcuni secondi le immagini presero a scorrere, tra le risate e registrate e i respiri fermi.

Poi Pierluigi liberò Gianroberto. Si volse, e se ne andò. Nessuno lo fermò, mentre tra se e se pensava, sorridendo.

– Te lo do io il governo. –