Una cena QUASI perfetta. L’ora.

Lo champagne era in frigo dalla mattina, la bottiglia scelta con attenzione tra tutte quelle che custodiva gelosamente, avrebbe dovuto fare da degno accompagnamento agli scampi crudi acquistati dal pescatore di fiducia.
Aveva pensato alle ostriche, ma non aveva uno Chablis degno della serata che lo attendeva, e la sua pignoleria negli abbinamenti non gli consentiva, secondo la sua particolare scala di valori, di sprecare delle stupende ostriche Creuse con un’annata troppo giovane, 2008, per l’esattezza.
Così, scampi, come antipasto.

Per le linguine alle vongole aveva selezionato uno chardonnay siciliano, non di quelli burrosi o legnosi che odiava, bensì più minerale, di stile francese, un vino sapido, dal carattere deciso e nervoso, che avrebbe esaltato come null’altro il sapore dei frutti di mare. Perfetto, semplicemente.
Ma il vero pezzo forte della serata era il Pinot Nero di Leroy, un 2005 di superba interpretazione.
Per esaltarlo al meglio si era cimentato in una zuppetta di pesce, con scorfano, gallinella, san pietro, pesce prete, tracina, niente gamberetti, né calamari, un paio di pomodorini pachino, sfumata appena con un goccio di vino bianco.
Sapori forti e intensi, che avrebbero dovuto equilibrarsi con l’eleganza del Signore dei Vini, esaltandosi a vicenda.
Per dolce nulla, aveva optato per un formaggio di fossa e un calice di recioto di soave, e quello sarebbe stato il colpo di grazia.

Controllò l’ora, decise di fumarsi una sigaretta, spiando la pioggia d’aprile che bagnava la porta a vetro della sua terrazza giardino.
Nell’aria risuonava un pezzo di Salvatore Bonafede, la luce del tardo pomeriggio si mescolava ai profumi della primavera incipiente, un merlo si era impadronito del vaso di rose gialle.

Si riscosse dai suoi pensieri appena si accorse del sorriso quasi ebete che gli era comparso in faccia, si diresse verso il bagno, lasciò cadere i pantaloni della tuta e la t shirt, mise a disposizione dello specchio il suo fisico tirato, la muscolatura lucida e la pelle abbronzata.
Poi concesse all’acqua della doccia di impadronirsi di lui.
L’accappatoio bianco fu il passaggio necessario verso l’abito nero e la camicia, anch’essa bianca, che indossò sopra un paio di boxer firmati, con la pelle ancora rinfrescata, nessun profumo, se non quello dell’uomo che era.
Calzini di seta nera, scarpe inglesi lucide nere, senza cravatta.
Era pronto.
Il Vacheron Costantin segnava le otto.
Il campanello suonò in quel preciso istante.
Sorrise, pregustando le ore a venire.

Antò, ma che cazzo, ti alzi o no??
Tutte le mattine la stessa storia, vedi che ti lascio a terra e in fabbrica  a piedi ci vai, eccheccazzo!!!